maggio 11, 2010

3.3 Considerazioni pratiche sul modello

Ci si chiede se tutti questi passaggi siano veramente necessari, o se siano dei cortocircuiti: in realtà la combinazione non sembra veramente fondamentale; esiste apprendimento anche senza passare per la conoscenza esplicita, perché l'integrazione della conoscenza tacita non esclude che poi si possa aver bisogno di fare un internalizzazione, senza passare dalla conoscenza esplicita.

Anche l'esternalizzazione può essere opzionale, perchè non tutti divulgano le loro conoscenze, oppure perchè in alcuni casi non si è imparato nulla e di conseguenza non si ha nulla da esternare.

Come affermato da Nonaka, non bisogna essere rigidi e passare sempre per tutte e quattro le fasi, ma si può benissimo parlare di acquisizione di conoscenza anche senza passare per l’esternalizzazione. Questo è un modello analitico, che quindi serve per capire, per scomporre un fenomeno per poterlo padroneggiare; questi fenomeni avvengono in modo molto più sfumato di quello che il modello lascia pensare, non avvengono in maniera esclusiva. E' un modello che serve per capire, non per rappresentare esattamente quello che succede nella realtà; dà una chiave interpretativa, fa cogliere (ad esempio) aspetti prevalenti di socializzazione rispetto a quelli di internalizzazione. Questo modello focalizza degli aspetti, ma la realtà è la composizione di tutti questi aspetti messi insieme, che noi come osservatori possiamo recuperare.

Il modello può essere usato per creare dei supporti al fatto che questa spirale sia il più produttiva possibile; ci possono essere misure di tipo organizzativo, o di tipo tecnologico (ad esempio pensando a un’azienda, che ha una leva organizzativa e una tecnologica).

Dal punto di vista organizzativo punta a favorire la socializzazione nel quotidiano; se si pensa a strutture con ritmi di lavoro eccessivi, in questo caso vorrebbe dire favorire la perdita di tempo dedicata anche al chiacchierare nei corridoi, gli incontri casuali non pianificati, sempre rimanendo nell’ambito del buon senso. In un’azienda distribuita la socializzazione diventa difficile, quindi l’azienda deve porsi il problema di come favorire questo aspetto, non solo in termini di scambio di informazioni per il lavoro, ma come contesto di riferimento. Quando l'organizzazione è difficile, si ricorre alla tecnologia.

Anche l’esternalizzazione viene favorita, perché vuol dire creare un punto di partenza per la diffusione di informazione e conoscenza; favorire tecnologicamente e organizzativamente l’esternalizzazione è importante. Gli strumenti necessari non sono necessariamente coincidenti con quelli che favoriscono la socializzazione: sono due fenomeni diversi, e richiedono strumenti diversi.

Bisogna anche dare i giusti tempi per l’apprendimento, perché questo richiede tempo e riflessione. In questo modo si può pensare di favorire un processo complessivo cercando di favorire ciascuna fase con degli strumenti adatti; si può incentivare l’esternalizzazione (alcuni potrebbero essere gelosi delle proprie conoscenze e non volerle condividere); ci sono diverse misure che questo modello suggerisce alle aziende, in termini di cultura della condivisione.

La competizione può essere uno strumento utilizzato, ma non deve essere la filosofia finale; un gruppo può competere con un altro per fare un elaborato migliore, ma lo scopo finale deve essere quello di rendere tutti i lavori disponibili, per ottenere il massimo della qualità e della condivisione. La competitività stimola la creatività delle persone, aiuta a tirar fuori il meglio di sé stessi, ma non quando è eccessiva. Chi si schiera per la competitività o per la non competitività è perché non è in grado di distinguere una buona competitività da una cattiva. Bisogna anche stare attenti a non far soccombere chi non è competitivo.

L’organizzazione deve avere il buon senso di cogliere gli aspetti positivi e negativi senza esagerare né da una parte né dall’altra; per il bene dell’azienda è vitale una qualche forma di comunicazione, magari dopo alcune fasi più competitive, altrimenti cade tutta la tematica della gestione della conoscenza. È vero che le resistenze individuali per vari motivi possono creare intoppi, ma una buona organizzazione sa gestire questi eccessi. Un’azienda potrebbe decidere di licenziare chi collabora di meno, chi non esternalizza e non mette in circolo la propria conoscenza.

Investire massicciamente su tutta l’azienda in processi di gestione della conoscenza è dispendioso per l’azienda stessa, quindi è importante saper identificare gli elementi cruciali, o i progetti pilota, o i punti dove sono già in atto buone pratiche di condivisione per portarle come esempio in altri aspetti dell’azienda. Questo processo deve essere continuamente seguito e alimentato dal management.

Una tecnica usata è creare delle finte situazioni di crisi, o caotiche, in cui si possono adombrare dei rischi non proprio reali, ma magari esasperati (ad esempio difficoltà economica) per creare una reazione da parte delle persone. È importante governare bene il processo per evitare troppa competitività che può creare uno scompenso, a cui dovranno seguire compensazioni per ricostruire le relazioni tra le persone.

In queste riflessioni non entrano pesantemente fattori di crisi economica, ma più di crisi dell’azienda che non è in grado di seguire l’evoluzione. La preoccupazione è quella di far capire che anche quando tutto va bene bisogna mantenere alta la soglia di attenzione.