J.H.Erik Andriessen ha analizzato casi, fatto una rassegna della letteratura e ha distillato da questa analisi un lavoro di ‘clustering’, cercando di raggruppare classi di casi e di caratteristiche in modo da creare tipologie che riducessero il nome e il numero di termini usati.
In questo lavoro ha evidenziato due caratteristiche che consentivano di discriminare situazioni indipendentemente dai termini con cui venivano denotate, e sulla base di queste due dimensioni ha identificato una serie di insiemi, di situazioni, e ha dato dei nomi perché i casi potessero essere ricondotti ad una stessa tipologia. Allo stesso tempo ha definito anche un modo per collocare le eventuali situazioni in cui ci si può trovare analizzando comunità di pratica sulla base di questi due indicatori.
Queste due dimensioni sono la connettività e l’istituzionalizzazione della CoP.
Per connettività si intende il grado di coesione del gruppo non solo in termini di connessione fra le persone, ma anche di legami che si creano tra esse.
L'istituzionalizzazione sta a significare quanto la comunità viene riconosciuta dall’organizzazione facendo riferimento al rapporto tra la comunità e l’organizzazione che la ospita. Rappresenta l’accettazione o la volontà di nascondersi della comunità rispetto all’organizzazione.
I raggruppamenti che ha identificato sono legati a un livello basso, medio e alto di connettività, e a un livello basso oppure alto di istituzionalizzazione.
Possiamo quindi pensare che lo spazio sia idealmente diviso in sei settori. Andriessen colloca in questi settori i casi che descrive, ma anche le caratteristiche che attribuisce ai termini utilizzati per caratterizzare i settori stessi. Le CoP hanno alta coesione e bassa istituzionalizzazione. Le comunità strategiche (trasformative) che l’organizzazione favorisce e protegge hanno alta coesione e alta istituzionalizzazione.
Poi identifica bassa connettività e bassa istituzionalizzazione nei gruppi di interesse, che in generale non sono istituzionalizzati. In essi ci può essere un tema più o meno serio che coinvolge tutti, dove però non c’è impegno reciproco a rispondere a qualcuno o a condividere tutta la propria conoscenza e l’interesse viene dichiarato ma non richiede molto impegno.
Ad un livello intermedio, ma con bassa istituzionalizzazione, si inizia a parlare di network informale, ovvero qualcosa di più connesso di un gruppo, ma non ancora a livello di comunità. Questa classe è nata dal fatto che spesso nelle organizzazioni e anche inter-organizzazioni ci sono dei network che si mantengono in modo informale e spontaneo, con regole lasche, ma con dei committment più forti di quelli del gruppo e che mantengono le relazioni tra di loro (ad esempio perché hanno avuto esperienze in comune). La classica tipologia che rappresenta al meglio questo gruppo è data da persone formate in azienda, che uscendo da essa mantengono legami con le persone con cui si trovavano bene. Tale struttura organizzativa ha molto valore per le aziende in quanto si mantiene spontaneamente ed è legata dall’aiuto reciproco.
LinkedIN, ad esempio, è nato proprio per rispondere a questa esigenza. Questi legami sono importanti per le aziende, perché aumentano le capacità di problem solving a basso costo. Grazie alla mobilità, questo tipo di network informale costituisce una specie di ragnatela che avvolge le aziende che insieme costituiscono una risorsa collettiva chiamata in generale collective intelligence. Il “sapere chi sa” può essere gestito in modo diverso da un’organizzazione: questo invece è un sistema totalmente autogestito.
E' un fenomeno che è sempre esistito perché la rete sociale di ex colleghi è sempre stata mantenuta e la tecnologia ha dato un alto impulso in questo senso. Il pregio è la maggiore connettività ma con la possibilità di formare legami anche banali e insignificanti tali da portare ad una socializzazione a livello più basso.
Facendo riferimento a gruppi che stanno nei quadranti medio-alti della connettività e verso un riconoscimento e un incentivo alla loro sopravvivenza da parte delle aziende, si parla spesso di social capital, inteso dal punto di vista della struttura sociale. Se ne parla in relazione alle CoP perché esse sono il luogo dove questo capitale sociale viene sviluppato in tutta la sua ricchezza. (se si scende nello schema, qualche dimensione si indebolisce).
Il capitale sociale viene definito secondo tre dimensioni:
1) Dimensione strutturale
2) Dimensione di relazione
3) Dimensione di conoscenza
Il social capital è l’evoluzione e l’opposizione di quello che viene definito individual capital o human capital. Il primo passo di valorizzazione della conoscenza in un'azienda passa attraverso l’individuo: è importante considerare la persona come un asset dell’azienda stessa. Senza voler negare l’importanza del capitale umano e dell’individualità, ci si è resi conto che l’apprendimento è un processo sociale e pertanto ha senso pensare alle persone dentro la rete sociale, non all’umano da solo.
Questo passaggio giustifica queste tre dimensioni con cui è definito il social capital. La dimensione strutturale si riferisce ai legami tra le persone, riconoscendo che non è detto che la connettività sia uniforme su tutto il gruppo di persone, ma l’importante è che abbia una certa sostanza.
La dimensione di relazione passa dalla sintassi (grado di relazione) al significato, ovvero che tipo di relazione lega queste persone. Si fa riferimento ad alcuni tipi di legame (ad esempio quanto una persona si sente impegnata nei confronti dell’altro: obbligation, dimensione dell’impegno reciproco, quanto ci si fida degli altri, etc.).
La dimensione di conoscenza riconduce alla dimensione umana perché il contenuto di conoscenza è quello che le persone scambiano, che sia essa tacita o esplicita, etc. Questa conoscenza è vista come prodotto dell’elaborazione delle conoscenze individuali e pertanto si torna nuovamente al ciclo di Nonaka interpretato in un altro modo.
Il social capital valorizza molto anche le relazioni esterne all’azienda (network informale) questo perché non è importante solo ciò che un individuo sappia qualcosa, ma anche il come tale conoscenza venga esportata verso l’esterno.